Dalla Parola alla Vita
2ª domenica di Pasqua
Invocazione allo Spirito Santo della beata Elena Guerra   O eterno Spirito, luce, verità, amore e bontà infinita, che abitando come ospite dolcissimo nell’anima cristiana, la rendi atta a produrre frutti di santità, che derivando da Te, o principio sempre fecondo della vita spirituale, si chiamano appunto frutti dello Spirito Santo, noi, anime sterili, ti supplichiamo di infonderci quella vitalità e fecondità che produce e matura i tuoi santi frutti!   Amen.

La domenica successiva a quella di Pasqua è denominata tradizionalmente Domenica in Albis, secondo la locuzione latina “albis vestibus depositis” ossia è la domenica in cui “le vesti bianche vengono deposte”, poiché legata al rito del battesimo. Nei primi secoli della chiesa il battesimo era amministrato (normalmente ad adulti che si convertivano) durante la veglia della notte di Pasqua e i nuovi battezzati ricevevano una veste bianca, segno della vita nuova appena ricevuta. Questi battezzati la portavano poi per tutta la settimana dell’ottava di Pasqua, fino alla domenica successiva, detta per questo “domenica in cui si depongono le vesti bianche”: in questo giorno, i neofiti le indossavano per un’ultima volta.

Dagli Atti degli Apostoli
At 4,32–35
32La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
 
R Vita della prima comunità. Il libro degli Atti presenta qui un brano ideale, volto a mostrare l’unità e la coesione della prima chiesa. Il capitolo 3 era cominciato con un miracolo da parte di Pietro e Giovanni su uno storpio: questo aveva creato il presupposto per una grande predicazione che era giunta fino al sinedrio, che non aveva saputo cosa rispondere. Pietro e Giovanni, persone non istruite, avevano dimostrato di saper parlare con grande franchezza (parrēsía) e soprattutto accanto a loro l’uomo guarito (4,14.22) era il segno evidente che qualcosa di straordinario era accaduto. Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni tornano dai loro fratelli e pregano chiedendo a Dio che tale coraggio nell’annuncio non venga mai meno e la loro richiesta viene confermata. Questa predicazione ad extra ha degli effetti anche all’interno della comunità che viene così descritta in maniera ideale nei versetti del nostro brano: qui l’autore ha voluto unire il modello ellenistico (una società idealmente coesa, fondata sull’amicizia) con i valori religiosi che provengono dal libro del Deuteronomio. R Le relazioni nella comunità. La realtà sociale delle grandi città che si affacciavano sul Mediterraneo si presentava certamente variegata, il divario economico doveva essere rilevante: l’evangelista Luca già nelle beatitudini aveva calcato la mano proponendo dei guai per i ricchi, chiaro segno che le comunità cristiane dovevano invece essere caratterizzate da questo modello di concordia e comunanza volta a eliminare ogni povertà. In questo modo, si realizzavano davvero le promesse anche dell’Antico Testamento dove era fondamentale l’idea di un popolo d’Israele unico e unito. In particolare poi, il libro del Deuteronomio usava l’espressione «con tutto il cuore e tutta l’anima» per dire il totale impegno del singolo credente nell’amare Dio con tutto se stesso. Lo stesso libro proponeva poi la conquista della Terra promessa come un’epoca ideale nella quale la povertà sarebbe stata eliminata. Il brano vuole dunque insegnare a ricercare una certa idealità: ma certo l’autore di Atti non è ingenuo. Nel seguito del racconto infatti presenta due esempi contrapposti: Barnaba vende un campo e pone il ricavato ai piedi degli apostoli, mentre Anania e Saffira offrono solo una parte pur dicendo di aver consegnato tutto. La carità deve procedere di pari passo con la sincerità: Dio ama chi offre con gioia (2 Cor 9,7) e non per costrizione.
         
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
1Gv 5,1–6
Carissimi, 1chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. 2In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. 3In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. 4Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. 5E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? 6Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
 
Le lettere di Giovanni riprendono alcune lezioni del Quarto vangelo e le sviluppano secondo le necessità delle nuove comunità che si ispirano alla corrente giovannea. Fondamentale nel vangelo era la questione dell’origine: se due persone sono veramente fratelli e hanno in comune lo stesso padre e la stessa madre allora parleranno la stessa lingua e si intenderanno in tutto quello che fanno perché condividono uno stile di vita imparato in famiglia. Queste banali osservazioni sono fondamentali per comprendere tutta la dinamica del Quarto Vangelo: Gesù ha una origine misteriosa, egli viene dall’alto, è il pane disceso dal cielo per portare vita eterna, è il Logos che si è fatto carne. Chi invece ha deciso di essere legato solo alla terra ha dimenticato che le sue origini sono in Dio e per questo non riesce a comprendere Gesù, che infatti rinnega.   R Credere è conoscere l’origine del Figlio. Lungo tutto il vangelo Gesù chiede di verificare qual è il vero atteggiamento nei suoi confronti e spesso vediamo i Giudei che invece cercano di afferrarlo per ucciderlo. Questo contesto di odio non permette al Figlio di rivelarsi e di mostrare la vera natura di Dio, del Padre. Per questo Gesù avverte i Giudei: non per condannarli a priori ma perché riconoscano il rischio che stanno correndo, ovvero stanno sostituendo Yhwh con il Principe di questo mondo. E questa incomprensione vissuta da Gesù è una faccenda che però riguarda tutti: se qualcuno non riesce a credere nel Figlio è perché il Tentatore è entrato nel suo cuore e gli ha fatto dimenticare che la sua vera origine è in Dio. Per questo la lettera può dire che chi crede in Gesù Cristo è stato generato da Dio: ma credere nel Figlio non è solo credere alla sua incarnazione, alla sua discesa sulla terra, segno dell’amore che Dio ha per l’umanità. Occorre credere in un Cristo che non è passato solo attraverso un battesimo fatto con l’acqua ma attraverso un battesimo di sangue! È nella croce che crediamo! Un grande capitolo del Quarto vangelo è il capitolo 3 che chiede di rinascere dall’alto: credere in Dio vuol dire pensarlo come il Padre che ama tanto il mondo da mandare il Figlio, cioè la cosa più cara che ha, per noi. Veniamo rigenerati dalla fede in Dio nel momento in cui smettiamo di pensare a Dio secondo tutte le immagini classiche che nella storia l’uomo ha ideato e lo concepiamo invece solo a partire dalla gloria della croce, cioè da Gesù Cristo che insegna all’umanità ad amare fino in fondo, a dare tutto per gli altri.   R La fede si fa vita. Per questo la testimonianza del sangue è necessaria: probabilmente all’epoca delle lettere cominciavano delle prime eresie che parlavano di una fede in Gesù ma opponendosi all’idea che un dio potesse morire. E invece questa è la vera vittoria: credere che Dio non è la proiezione dei sogni di onnipotenza umana ma l’immagine dell’amore più grande e più completo perché capace di donare tutto, anche il proprio Figlio, per noi. In questo senso credere non è possibile senza una condotta pratica e concreta che dica il nostro amore: la fede non è dunque un puro atto intellettuale ma è un vivere secondo i comandamenti che accogliamo, non subendoli ma per amore (ecco perché dice la lettura che ci sembrano perfino leggeri!). In questa fede così vera e autentica allora abbiamo già vinto il rifiuto del mondo e il suo odio: questa è la prospettiva giovannea per la quale la vita eterna comincia già ora nel momento in cui crediamo in un Dio d’amore come Gesù ce l’ha descritto. Non abbiamo neanche bisogno di attendere il giudizio finale, che certamente verrà, ma già ora siamo liberi di vivere amando pienamente perché nella fede in Cristo e nel suo Spirito nulla ci manca per vincere già ora il male che affrontiamo ogni giorno.
X Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,19–31
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Questo brano riprende diversi elementi che sono presenti anche in Lc 24 (in seguito all’episodio di Emmaus). Anche questo testo infatti ci dice che Gesù stette in mezzo a loro, i discepoli dubitano, credono di vedere un fantasma e allora Gesù mostra loro le mani e i piedi. Anche Luca parla della gioia e dello Spirito (Lc 24,41.49), ma il Terzo evangelista descriverà questo dono in At 2. R Il giorno del compimento. Giovanni riprende alcuni di questi elementi ma li reinterpreta con il suo stile: la difficoltà di credere viene ancora una volta personalizzata e ci si concentra su una figura soltanto, Tommaso. Giustamente poi non si parla più di mani e piedi trafitti ma di mani e del fianco (adattando il racconto a quanto visto nella crocifissione di Gv 19). In particolare però la prospettiva giovannea sottolinea la grandezza di questo giorno, il primo dopo il sabato: è la domenica, Pasqua del Signore, nuovo giorno chiamato a sostituire il sabato giudaico. È così importante che è in questo momento che viene donato lo Spirito: non serve neanche attendere Pentecoste! La prospettiva giovannea è totalizzante: tutta la vita di Gesù si è svolta in vista dell’ora, quella definita dal Padre. L’ora è quella della gloria, il punto più alto della storia, il fine o meglio il perno intorno al quale la storia umana gira. È in quel momento che la Scrittura si è compiuta, è lì che Dio ha dimostrato in maniera perfetta che il suo amore per l’umanità è eterno, per sempre e invincibile. È sulla croce che Dio Padre mostra il suo grande amore perché lì ama il mondo a tal punto da dare suo Figlio, l’Unigenito, la cosa più preziosa che possiede, per salvarci. In questo senso, Venerdì santo, Pasqua, Ascensione, Pentecoste sono tutti eventi uniti nell’unica vicenda di morte e risurrezione del Figlio dell’Uomo. R La comunità nata dallo Spirito. Il dono dello Spirito infatti era già stato consegnato sulla croce, dove si dice che Gesù consegnò lo Spirito (Gv 19,30). Già Gv 7 aveva legato il tema della croce con l’effusione dello Spirito (Gv 7,38-39). Ora queste grandi promesse si sono realizzate ed ecco che comincia nella storia una nuova fase, quella della chiesa, che è chiamata a testimoniare una speranza che non è solo al futuro ma ha una radice storica, l’evento appunto di Gesù Cristo, compimento dell’amore del Padre. Ecco perché questa nuova comunità che nasce viene incaricata di portare il dono del perdono: non si tratta di una comunità perfetta in se stessa, per le proprie forze, ma proprio perché rappresenta l’amore di Dio in forma piena non può non trasmettere il grande messaggio di pace che Dio ha per l’umanità. Con il ritornello «viene l’ora – ed è questa» (Gv 5,25) il Quarto vangelo voleva proprio insegnare che Gesù non rimanda solo a un giudizio futuro, a un intervento di Dio indeterminato e lontano nel tempo, ma che la salvezza è già ora. Questa novità è affidata alla sua chiesa: la fase del Gesù storico, con la parola e la sua presenza in figura d’uomo, è finita. D’altronde, lui stesso aveva parlato di un ritorno al Padre, per poi tornare in mezzo ai suoi, ma appunto in forma nuova. R La figura di Tommaso. È quanto avviene anche in questo capitolo 20: prima chiede di essere lasciato libero di salire al Padre e poi ecco le apparizioni nel Cenacolo. Questo passaggio dalla testimonianza diretta di Gesù a quella della chiesa non è però indolore. Ecco perché presentare il personaggio di Tommaso. Costui è infatti a cavallo delle due fasi: da apostolo ha conosciuto il Gesù storico e adesso si oppone a una testimonianza che sia solo dei suoi discepoli. È un paradosso che il primo annuncio della risurrezione non funzioni neppure con un apostolo: come potrà la chiesa annunciare il Cristo risorto se non riesce a comunicare il kerygma neppure a Tommaso? In questo senso, Tommaso è davvero nostro fratello gemello (traduzione del termine Dídimo) perché anche noi lettori vorremmo vedere per poter credere: credere sulla base della sola parola della chiesa ci sembra troppo poco! Il brano però ci presenta Tommaso come l’eccezione che conferma la regola: a lui, apostolo di Gesù, viene concesso di essere come gli altri discepoli che erano presenti nel Cenacolo. Rivelandosi a lui, Gesù stesso conferma la vera regola della fede: beato è colui che crede senza aver bisogno di vedere. R La fede oltre i segni. Se prima era possibile basare la fede sulle azioni e i gesti di Gesù, ora questa visibilità è venuta meno. Come dice la finale del vangelo, per credere occorrono dei segni, e infatti ne sono stati scritti alcuni che costituiscono il testo evangelico. Ma non è moltiplicando i racconti di segni che si trasmette maggiormente la fede! I segni servono, ma sono, appunto, solo dei segni, sono un punto di partenza che ciascuno deve superare con la propria decisione di credere. Questa è la dinamica della fede che non può avere un’altra base che se stessa: se si fondasse infatti su qualcosa di diverso, non sarebbe più neanche fede. In conclusione, la beatitudine non vuole condannare ad una fede cieca: anzi, per chi crede, i segni da vedere poi non mancano. Ma si vuole ricordare che la fede deve avere un primato, non è condizionata dal vedere. Così per noi cristiani: per chi pretende di vedere Gesù per poter credere in lui, le vie della fede sono già chiuse per la sua precomprensione. Per chi decide di fidarsi della testimonianza della chiesa, in realtà non mancheranno i segni visibili della presenza del Signore in mezzo ai suoi discepoli.
Il vero amore del prossimo
 
      Luca vede nella comunità cristiana dei primi giorni un ideale a cui la chiesa di sempre deve riferirsi. Nella sua intenzione il quadro raccontato (cf. At 4,32-35) vuole essere come una fotografia di quella vita nuova che il Cristo risorto ci dona.       L’ideale della fraternità era già presente nell’ambiente giudaico. La fede ebraica attendeva per il tempo messianico una comunità fraterna in una terra promessa senza più poveri: «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nella terra che [ … ] ti dà in possesso ereditario» (Dt 15,4). Tuttavia, nella fede cristiana, questo ideale diventa il segno più chiaro, più sorprendente e più convincente della presenza del Signore risorto. Luca è convinto che una vera e profonda fraternità — come quella descritta nel libro degli Atti — sia al di sopra delle possibilità dell’uomo, solo l’aiuto del Signore la rende possibile. Suppone la vittoria sul peccato che continuamente la minaccia, e il coraggio della fede, che sa spingere l’uomo verso progetti altrimenti ritenuti impossibili. Per questo — prima di ricordare la fraternità dei cristiani — si narra della loro preghiera e della venuta dello Spirito: «Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo» (4,31). Senza la fede, la preghiera e il dono dello Spirito non è possibile la fraternità: è soltanto nella fede nel Signore che l’uomo riesce a vincere la paura di perdersi e, quindi, l’attaccamento al possesso. Senza una fede profonda l’uomo finisce fatalmente — e non solo per cattiveria ma anche semplicemente per paura — con l’attaccarsi a se stesso, ai propri beni e ai privilegi.       Ad uno sguardo più attento ciò che Luca ricorda dei primi cristiani non è altro che una fedele obbedienza al grande comandamento: un amore totale verso Dio e un amore genuino verso il prossimo. Si legge nel libro del Deuteronomio: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze» (6,5). Sono parole che il pio ebreo recitava ogni giorno e che Gesù ha fatto proprie. Secondo l’interpretazione giudaica «con tutte le forze» significa che bisogna amare Dio anche «con tutti i propri beni». E quanto hanno capito i primi cristiani. L’amore verso Dio deve essere totale, cosa di cui nessuno dubita. L’uomo intero — «cuore» e «anima» — deve tendere verso il Signore. Ma la stessa totalità Luca la applica alla fraternità che aveva «un cuore solo e un’anima sola» (v. 32). Non solo verso Dio, dunque, ma anche verso i fratelli l’uomo deve tendere con tutta la sua persona, senza nulla sottrarre.       L’ideale della comunione fraterna della prima comunità cristiana si approfondisce ulteriormente nella seconda lettura (cf. IGV 5, 1-6), secondo una prospettiva originale e, in un certo senso, sorprendente. Di solito si pensa che l’amore del prossimo sia la verifica dell’amore di Dio, come in effetti si legge nella prima lettera di Giovanni (cf. IGV 4,20-21) Tuttavia è curioso osservare che nel brano in questione la verifica sia, in un certo senso, rovesciata: l’amore di Dio è la prova del vero amore fraterno. Scrive l’apostolo: «In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti» (v. 2). L’amore cristiano ha due facce, Dio e l’uomo, e lo scritto giovanneo ce lo ricorda molto bene. In questo duplice volto dell’amore va affermato il primato dell’amore verso Dio: non soltanto nel senso che dobbiamo amare Dio al di sopra di tutto e appartenergli totalmente, ma anche nel senso che è unicamente in questa totale appartenenza al Signore che l’amore fraterno trova la sua autenticità. L’amore di Dio rende possibile, eleva e purifica l’amore fraterno. Tutto questo può essere una sfida alla mentalità corrente, ma va mantenuto fermo. L’amore di Dio non annulla l’amore del prossimo, e non lo priva della sua urgenza e della sua concretezza. Verificare l’amore fraterno sull’amore di Dio non significa strumentalizzare l’uomo in vista di Dio. Significa, al contrario, amarlo con la libertà di Dio, con il suo amore forte e critico; significa essere capaci, se l’amore lo richiede, di rimanere soli, rifiutati e crocifissi, come Cristo; significa, infine, essere convinti che il primo modo di amare il prossimo è di condurlo a Dio.       Frutto dell’evento pasquale, la comunità cristiana è il luogo dell’amore fraterno grazie alla fede nel Risorto. Il racconto evangelico (cf. Gv 20, 19-31) testimonia il cammino di Tommaso che dal dubbio giunge alla fede piena: «Mio Signore e mio Dio!» (v. 28). Non raramente anche una grande fede passa attraverso il dubbio. Quello di Tommaso è un vedere capace di scendere in profondità, ciò nonostante nella sua esperienza di fede c’è una purificazione da compiere: occorre liberarsi dalla pretesa di vedere. Per questo Tommaso è rimproverato (cf. vv. 27-29), avrebbe dovuto credere fidandosi della testimonianza apostolica, senza pretendere un’ulteriore assicurazione. L’assicurazione gli verrà accordata, come si è detto, ma in via eccezionale: la normalità della fede riposa sul fondamento dell’ascolto.       Il racconto evangelico rappresenta, infine, il punto di passaggio dai segni all’annuncio, si apre sul tempo della chiesa. Credente è chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Il che non significa che ora al credente sia preclusa o ni personale esperienza del Cristo risorto. Tutt’altro, i è offerta l’esperienza della gioia, della pace, del perdono dei peccati, della presenza dello Spirito.
 
Solo Cristo può aprire le porte della nostra incredulità. La mano di Cristo Risorto tocca la mano di Tommaso sullo sfondo la porta chiusa che sta per aprirsi.
Preghiera di Roberto Laurita
 
Ogni anno, Signore Gesù, Tommaso mi dà appuntamento con i suoi dubbi, con le sue fatiche e mi induce a riprendere la strada che porta alla fede in te, il Crocifisso risorto. Il passaggio oscuro attraverso la passione e la morte non è stato un incidente di percorso. Se ora sei risorto e vivo è perché hai accettato quello che sembrava un fallimento: l’inviato di Dio, i/ suo Figlio, fragile e disarmato, nelle mani dei nemici, ferito e sbeffeggiato e poi messo a morte.   Avverto anch’io, come Tommaso, qualcosa che stride terribilmente con l’immagine che mi sono fatta di Dio e capisco il suo bisogno di vedere e toccare. Per questo oggi ti chiedo di trovare la forza per affidarmi a te e per accettare che tu, lo sconfitto, il perdente, sia veramente il vincitore. E, quel che è più duro, ti prego di affrontare anch’io i tunnel oscuri che troverò nella mia storia, forte solo della certezza che non sarò abbandonato perché tu sei il mio Signore e il mio Dio.
Colletta
 
O Padre, che in questo giorno santo ci fai vivere la Pasqua del tuo Figlio, fa’ di noi un cuore solo e un’anima sola, perché lo riconosciamo presente in mezzo a noi e lo testimoniamo vivente nel mondo.
Egli è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Amen.