Dal libro del profeta Michèa |
Mi 5,1-4 |
Così dice il Signore: 1«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. 2Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. 3Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. 4Egli stesso sarà la pace!». |
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R Introduzione. Il brano di Michea si situa all’interno delle promesse che riguardano il futuro di Sion. Mentre è chiaro il contenuto di Mi 5,1, che si riferisce alle promesse fatte a Davide e alla sua dinastia, la composizione del testo è piuttosto problematica. Probabilmente il tono misterioso è intenzionale oppure rende conto di antiche tradizioni che sono ormai perse (Michea opera in Giudea nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.). La traduzione greca, nel tentativo di fornire una forma più coerente, non rende ragione delle difficoltà nell’interpretazione dell’ebraico. Nella citazione famosa di Mt 2,6, all’interno dell’episodio dei magi (in cui si individua il luogo di nascita del Messia), si trovano ulteriori varianti che qui non vengono discusse. R Commento. Il vocativo con cui si apre la breve pericope (5,1) rappresenta un casus pendens che, cioè, non viene ripreso dagli elementi grammaticali che seguono nella frase. Betlemme viene accostata ad Efrata. Il significato di questo nome, le sue origini e il suo uso rimangono in gran parte oscure. In ogni caso viene definita “giovane” per poter stare a pieno titolo tra i clan di Giuda. Probabilmente si vuole fare un parallelo con la giovane età di Davide, inadeguato a ricoprire la carica di re, e il suo luogo di origine. Uno scambio (per metonimia) tra la persona e la sua città natale. In ogni caso, nonostante le apparenze, ne uscirà un governatore (môšēl) per tutto Israele. Il senso dell’origine remota attribuita a questo personaggio può essere ritrovato nelle antiche profezie rivolte a Davide. In questa direzione si palesa il senso del messianismo regale presente nell’oracolo. L’annotazione temporale può fare riferimento a un periodo arcaico (le profezie in favore del Davide storico?) ma potrebbe anche condurre a una situazione che fuoriesce dal tempo. Questo può indicare la grandezza del personaggio futuro (môšēl), che non può essere circoscritto in un periodo preciso, ma può anche esprimere la definitività del suo regno. Anche Mi 5,2 è piuttosto oscuro. Se si ipotizza che il Signore sia il soggetto principale, allora l’oggetto rimane ancora il governatore (môšēl). Questo dal punto di vista logico, perché grammaticalmente il soggetto del verbo “dare” (naṯan) è anticipato nella frase (prolessi del pronome relativo) e si può riferire al resto dei fratelli o ai figli di Israele. Il periodo in cui questo si verificherà coinciderà con una nascita predestinata. Per uscire dalle secche della sintassi contorta è possibile cogliere il significato logico che sembra delinearsi. La comparsa del governatore (môšēl) avverrà in concomitanza a una nascita che potrebbe essere la sua stessa nascita. Con lui, il resto dei suoi fratelli si ricongiungerà con il popolo d’Israele. Quindi una nascita e un ruolo messianico di restaurazione. Questo passaggio può essere collegato con Is 7,14 suo contemporaneo. Anche in quel caso una nascita rappresenta un segnale di speranza. Nel versetto conclusivo si descrive l’operato del governatore (môšēl). Si introduce la figura del pastore, con chiaro riferimento a Davide, e si presenta un regno che, con la forza e l’imponenza date dal Signore, esprimerà un carattere universale in senso spaziale e temporale. |
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Dalla lettera agli Ebrei |
Eb 10,5-10 |
Fratelli, 5entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. 6Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. 7Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». 8Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, 9soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. 10Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. |
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R Introduzione. Il brano della Lettera agli Ebrei che si incontra nella 4a domenica di Avvento è collocato nella sezione in cui si argomenta la superiorità del sacrificio di Cristo rispetto ai sacrifici mosaici che sono quindi inefficaci. Si parte da una citazione scritturistica (il Salmo 40 nella versione della LXX) per polarizzare il contrasto tra il primo sacrificio (che prevedeva una reiterazione) e quello definitivo di Cristo. R Commento. Partendo da una considerazione logica stringente (che cioè il sangue di tori o capri non può eliminare il peccato, Eb 10,4), si apre alla necessità di un sacrificio diverso. La citazione del Salmo 40 che segue è attribuita direttamente a Cristo in procinto di entrare nel mondo, cioè di nascere (Eb 10,5). Il salmo è citato nella versione greca ma con alcune varianti. Quella principale si trova al versetto 7 (Sal 40,7). Nella versione ebraica e in quella greca si parla di “orecchi” e non di “corpo” come, invece, si trova in Eb 10,5. Inoltre nel testo masoretico gli orecchi vengono “scavati” (ricordando probabilmente l’uso di mettere un anello all’orecchio di uno schiavo), mentre in quello della LXX vengono “preparati”. Il testo di Ebrei accoglie la versione greca ma cambia l’oggetto: non sono più le orecchie ma è il corpo a essere preparato. Ulteriormente si recepisce il riferimento al peccato presente nel testo greco ma assente in quello ebraico. Queste variazioni sono funzionali all’argomentazione in cui si vuole sottolineare la presenza del corpo (sacrificato sulla croce) e la cancellazione dei peccati. In ogni caso tutto questo avviene in ossequio alla volontà divina (Eb 10,7). Come nella più genuina prassi rabbinica, si fa seguire a una citazione (che funge così da cellula germinale del discorso) un’argomentazione su un tema. I sacrifici antichi (i primi, quelli secondo la legge), che vengono identificati con quelli indicati nel salmo, non hanno più ragione di esistere e, quindi, devono essere rimossi in favore del secondo sacrificio (Eb 10,9). Al versetto 10 si trova l’esito dell’argomentazione. Secondo il volere divino avviene una santificazione dei discepoli in forza del sacrificio di Cristo, del suo corpo (sṓma). La croce supera e compie tutti i sacrifici antichi e lo fa in maniera definitiva (ephápax). |
Il Guercino – La Visitazione Royal Collection, Windsor Castle, Windsor |
X Dal Vangelo secondo Luca |
Lc 1,39-45 |
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». |
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R Il viaggio di Maria. Maria inizia il viaggio che la porterà dalla cugina Elisabetta. L’espressione “alzarsi e andare” (1,39) è tipicamente semitica e non indica necessariamente un alzarsi reale (quasi che tutti fossero sempre seduti!), quanto una preparazione o un inizio di un’azione. È quindi un’espressione idiomatica (se si vuole un po’ pleonastica) come per l’italiano “prese e se ne andò”, anche se il soggetto non prende materialmente nulla. Il cammino di Maria ha un significato teologico nel Vangelo secondo Luca, in quanto si cammina secondo il piano salvifico di Dio. Anche la fretta descrive l’impazienza di compiere la volontà divina. Non viene fornita la località esatta della meta del viaggio ma la direzione è chiara: da nord, Nazaret, a sud, sui monti della Giudea. Tradizionalmente la cittadina viene identificata con Ain Karim, a qualche chilometro a ovest di Gerusalemme. R L’incontro tra le due donne. Le due donne si salutano. Luca non riporta la formula utilizzata ma descrive la reazione di Elisabetta (1,41–42). Il bambino sussulta nel grembo della madre introducendo una modalità di comunicazione non verbale interessante. Non è nuova la lettura profetica di questi comportamenti. Ad esempio Esaù e Giacobbe anticipano la loro relazione conflittuale futura già nel grembo della madre (Gen 25,22–28). In questo caso il Battista esercita già da ora la sua funzione di precursore. Contemporaneamente al figlio, anche la madre Elisabetta è riempita di Spirito Santo e lancia un grido profetico: «Benedetta tu, benedetto il frutto del tuo grembo» (cf. Lc 1,42). I due participi perfetti passivi, che si riferiscono a Maria e al frutto del suo grembo, sono passivi divini: la benedizione è opera di Dio (eulogēménē e euloghēménos, v. 42). C’è anche un semitismo: «tra tutte le donne» (1,42). La lingua ebraica non conosce la forma superlativa che, di conseguenza, viene resa con una perifrasi. Alla luce di questa spiegazione sarebbe fuorviante insinuare una volontà anche lontanamente discriminatoria giustificata dalla comparazione tra Maria e le altre donne. Il parallelismo tra le due benedizioni indica una simmetria tra Madre e figlio tanto nell’elezione quanto nella missione. Inoltre c’è un’inclusione tra questa benedizione all’inizio del vangelo e quella sui discepoli da parte del Risorto al suo termine (24,50). L’avverbio con cui si apre il versetto 43, póthen, esprime un interrogativo di sorpresa: “Perché mai mi succede questa cosa?”. La domanda si chiarisce con la dichiarativa che segue in cui si trova un altro semitismo. Infatti la qualifica di “Signore” (kýrios), in «la madre del mio Signore», non ha la caratura teologica paolina, ma sta a significare solo un’espressione di deferenza sociale, come le espressioni deittiche italiane del “lei” o del “voi”. Anche il seguente versetto 44 presenta dei semitismi. Inizia con l’intercalare “ecco” (idú) che introduce (in modo un po’ maldestro con l’aggiunta di “infatti”, gar) una ripetizione: il lettore è già a conoscenza di quello che è accaduto al bambino durante il saluto di Maria. È presente, ulteriormente, un altro semitismo che ritorna molto spesso nelle traduzioni greche dell’Antico Testamento: “è avvenuto” (1,44: «quando è avvenuto che il suono del tuo saluto» ecc.). L’espressione greca kái eghéneto è un calco letterale di una costruzione tipicamente ebraica dell’inizio di una frase narrativa (wayehî). La motivazione di queste incoerenze stilistiche e contenutistiche può essere spiegata dalla confluenza di tradizioni diverse nello stesso testo, ma può anche intenzionalmente esprimere la sorpresa e le forti emozioni provate da parte di Elisabetta che, di conseguenza, rendono il passaggio meno fluido e più parossistico. R Conclusione. Lc 1,45 conclude l’intervento di Elisabetta con la proclamazione di una beatitudine all’indirizzo di Maria. Ne elogia l’atteggiamento credente al contrario di quello di Zaccaria (1,20) e fa riferimento al compimento di una profezia. La parola teléiōsis (compimento) è l’unica ricorrenza nell’opera lucana ed è in collegamento alle cose dette (lelalēménois), che indicano una profezia (cf. anche 1,55). Il rimando è quindi alle parole dell’angelo, che è stato mediatore del messaggio divino. In questo caso il sostantivo signore (kýrios) ha una valenza teologica più esplicita rispetto alla precedente occorrenza (1,43). |
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Le due mamme |
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Giunti alle soglie della memoria liturgica della nascita del Salvatore, l’annuncio della profezia di Michea (cf. 5,1–4a) è quello di un nuovo Davide, un re che verrà da Betlemme, le cui origini stanno nei tempi antichi e remoti (cf. v. 1), ancora prima dell’antico sovrano di Israele (cf. 1Sam 17,12). Il futuro Messia sarà un pastore che eserciterà il suo potere con la forza del Signore e il suo regno sarà un regno di pace, di sicurezza «fino agli estremi confini della terra» (v. 3), nel quale tutti i figli di Israele troveranno nuovamente un posto. Questo testo profetico, interpretato dall’evangelista Matteo come esplicito riferimento alla nascita di Gesù (cf. Mt 2,5–6), lo possiamo diversamente collocare come sfondo del Vangelo dell’infanzia di Luca, che mette in parallelo la storia di Giovanni Battista e la storia di Gesù, facendo passare continuamente il lettore dall’uno all’altro personaggio: l’annuncio della nascita del Battista e l’annuncio della nascita di Gesù, l’incontro fra le due madri, la nascita del Battista e la nascita di Gesù. L’episodio evangelico suggerito dalla liturgia della quarta domenica di avvento, l’incontro fra le due madri (cf. Lc 1,39–45), si pone al centro di questo intreccio e costituisce il punto d’incontro fra i due personaggi e le due storie. Il viaggio di Maria verso la casa di Elisabetta e Zaccaria è riferito brevemente. «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta» (v. 40). Maria porge il saluto per prima. In qualche modo l’iniziativa è dunque sua. Si tratta di un saluto importante, ricordato nella narrazione ben tre volte. È attorno a questo saluto che si sviluppano gli aspetta narrativi più importanti dell’episodio. Il sussulto del bimbo, la venuta dello Spirito, il riconoscimento di Elisabetta. Il saluto di Maria, diversamente dal saluto/risposta di Elisabetta, è senza parole. Anche questo è un tratto da rispettare nel suo silenzio. Proprio perché senza parole, il saluto di Maria pone in primo piano la sua persona, non ciò che eventualmente ella ha detto. In primo piano è la voce (cf. v. 44): non le parole hanno fatto sussultare il bambino, ma la sua voce. È nella voce di Maria che il bambino percepisce la presenza del Messia atteso. Prima di nascere il Battista già rinvia a Gesù. Gesù è superiore al suo precursore, ecco l’insegnamento. È il portatore dello Spirito e della gioia messianica, e ne fa dono al suo precursore: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo» (v. 41). Le parole di Elisabetta non sono soltanto un saluto di risposta, ma un’interpretazione autentica dell’evento che accade in Maria (cf. vv. 42–45). Tre i riconoscimenti: «Benedetta tu fra le donne», «Madre del mio Signore», «Beata colei che ha creduto». Il grido di Elisabetta non augura una benedizione, ma constata una benedizione già data. Non è Elisabetta che benedice Maria, ma Dio: ciò è chiaro dalla forma verbale («benedetta»). «Tra le donne» è una forma comparativa: Maria è la più benedetta. «Madre del mio Signore»: Elisabetta riconosce al tempo stesso l’identità di Maria (la Madre) e di Gesù (il mio Signore). Con il titolo Kyrios («Signore») gli angeli chiameranno Gesù nell’annuncio ai pastori (cf. Lc 2,11). È un titolo che appartiene alla fede della comunità post pasquale. «Madre del mio Signore» è il titolo mariano più splendido che si legge nel Nuovo Testamento. L’evangelista lo pone sulle labbra di Elisabetta, che in tal modo diviene la «prefigurazione» della comunità credente. Elisabetta riconosce Maria dapprima come Madre (cf. v. 44) e poi come credente (cf. v. 45). Il primo riconoscimento riguarda soltanto Maria: è infatti interamente espresso alla seconda persona singolare. Il secondo, invece, è detto alla terza persona: «Colei che ha creduto». In tal modo l’espressione si dilata su un orizzonte più ampio. La maternità appartiene solo a Maria, invece nel suo atteggiamento di credente c’è posto anche per gli altri. Per la sua fede è il modello di tutti coloro che «ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Alla luce di questi tratti appare più evidente che l’episodio narrato dall’evangelista Luca vuole mettere in primo piano la rivelazione di Gesù attraverso Maria, nel suo duplice aspetto di Madre e di credente. Maria è visibile sulla scena: Gesù è nascosto in lei. Gesù è qui, presente e attivo, ma come nell’ombra di sua madre. Poi – in tutto il Vangelo – sarà la Madre a camminare all’ombra del Figlio, come discepola. |