Colletta allo Spirito Santo   O Padre, che nella luce dello Spirito Santo guidi i credenti alla conoscenza piena della verità, donaci di gustare nel tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre del suo conforto. Per Cristo nostro Signore. Amen.
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Leonardo da Vinci – Giovanni Battista

Museo del Louvre, Parigi

Giovanni indica il Cielo,

forse per annunciare la venuta di Cristo.

Questo è l’ultimo dipinto realizzato da Leonardo.

Dal libro del profeta Sofonìa
Sof 3,14-17
14Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! 15Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. 16In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! 17Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia».
 
R Introduzione. Dopo aver pronunciato l’oracolo contro Gerusalemme e, in particolare, contro la classe dirigente, il profeta Sofonia prosegue con diverse promesse di gioia e di riscatto per il futuro. Nella liturgia di questa domenica di Avvento sono proposti i due salmi di Sof 3,14–18 che richiamano, nell’invito iniziale alla gioia, Is 12,6; 54,1 e Zc 2,14. L’intero brano è costellato di parole di incoraggiamento e di motivi di gioia. Sofonia - Wikipedia R Commento. Il versetto 14 presenta un parallelismo ascendente, in cui si rilanciano i termini che si riagganciano tra di loro formando un climax. Infatti lo stesso soggetto viene definito “figlia di Sion”, “Israele”, “figlia di Gerusalemme”. Evidentemente sono personalità collettive e l’imperativo che si riferisce a Israele è al plurale, proponendo una concordanza più logica che non grammaticale. La menzione di Israele, nella focalizzazione sulla città di Gerusalemme al tempo della riforma religiosa di Giosia, potrebbe far pensare al “resto” di Israele (citato appena prima in Sof 3,13) che, al suo ritorno, si concentrerà nella città. I verbi presenti invitano alla gioia in un crescendo di espressioni sempre più forti e pervasive: rallegrati, strombazza (come in un carosello di veicoli), gioisci ed esulta con tutto il cuore. Non c’è dubbio, quindi che la felicità deve essere grande e completa. Nel versetto seguente (v. 15) si spiegano le motivazioni di questo invito alla gioia. È di nuovo presente una delle caratteristiche della poetica ebraica che consiste nel riprendere un elemento aggiungendo qualcosa. Il soggetto che agisce è “il Signore” che, quando viene citato per la seconda volta, è specificato con il titolo di “re d’Israele”. Questo espediente poetico permette di osservare la competenza giuridica esclusiva del “Signore” che può revocare la decisione esecutiva di una sentenza. Il “re d’Israele” però può mettere in campo anche la sua componente militare e quindi cancellare il nemico. La certezza che il Signore, re di Israele, stia in Gerusalemme, rassicura in vista di eventuali pericoli futuri. La formula “non devi avere paura” introduce abitualmente gli oracoli di salvezza che promettono sicurezza. Il versetto 16 inizia con la formula profetica stereotipata «in quel giorno» (la traduzione greca propone kairós) che introduce un oracolo di salvezza in un tempo futuro. Questa intersezione può fare pensare all’accostamento di materiale letterario differente rispetto al precedente (Sof 3,14–15) o, comunque, a una revisione redazionale successiva. Il verbo passivo impersonale («sarà detto») enfatizza l’attenzione sul destinatario del messaggio più che sul mittente. Il contenuto, invece, riprende l’esortazione a non avere paura (3,15) e presenta un’espressione particolare: le tue mani non diventino flaccide. La plasticità dell’immagine di debolezza contrasta nettamente con il sentimento di coraggio e di forza che si vuole inculcare. In Sof 3,17 si riprende la motivazione per cui la figlia di Gerusalemme deve gioire: il Signore tuo Dio è in mezzo a te. Viene anche esplicitato e accentuato il suo ruolo di guerriero che viene in aiuto. Nel testo rimanente si descrive la gioia e l’esultanza che il Signore stesso condivide con il suo popolo. La proposta di rappresentare un Dio che “danza” (collegando questo comportamento ad un probabile significato del verbo gyl) sembra da escludersi. Comporta, infine, un problema la traduzione «ti rinnoverà con il suo amore» che si basa sul testo greco. Infatti, quello ebraico recita letteralmente “ti farà tacere” e, evidentemente, risulta di difficile collocazione nel contesto. Inoltre, l’intera espressione sembra un’inserzione perché disturba l’equilibrio dato dal parallelismo delle altre parti.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fil 4,4-7
Fratelli, 4siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
 
R Introduzione. Questo brano si trova all’interno della sezione parenetica che è collocata nella parte finale della lettera. Fil 4,47 contiene una serie di proposizioni, quasi tutte slegate grammaticalmente fra di loro, che riprendono temi precedentemente trattati e, in questa forma insolita, sembrano essere ammonizioni e richiami sintetici.   R Commento. Il brano si apre con un imperativo ripetuto: «rallegratevi» (Fil 4,4 cháirete). Questo concetto viene ribadito dalla volontà di ripeterlo di nuovo: «Rallegratevi nel Signore sempre; lasciatemelo dire di nuovo: rallegratevi». Questo invito è una eco della gioia di Paolo stesso (4,1) ma anche di quella della comunità (3,1). Deve essere una gioia duratura e fondata nel Signore. Anche la capacità di sopportazione, a cui si fa riferimento al versetto 5, sembra essere motivata dalla vicinanza del Signore. Altrimenti le due frasi, sintatticamente slegate, non avrebbero nemmeno un nesso logico. Si possono dare significati diversi alla parola epieikḗs: tolleranza, gentilezza, mitezza, sopportazione, pazienza. Si preferisce collegarla con la probabile prigionia di Paolo (nel momento in cui compone la lettera) o con il riferimento successivo alla pace e quindi renderla con: pazienza. La vicinanza del Signore può essere intesa come la motivazione di questo atteggiamento, sia in una prospettiva escatologica (il Signore tornerà presto: vicinanza temporale) sia in una prospettiva protettiva (il Signore è accanto a te: vicinanza spaziale). Nel versetto 6 si riprende il concetto della pazienza in senso negativo: «non siate in ansia per nulla». In questo caso si ha una connessione con quanto segue per esprimere ciò che invece deve essere fatto: è necessario fare conoscere al Signore le proprie richieste in ogni forma di preghiera. Infine ecco il riferimento alla pace che sembra chiosare i concetti precedenti (Fil 4,7). Si tratta della pace di Dio, che quindi supera ogni possibilità di comprensione, in contrasto con quella umana (la pax romana).
  Gioia, fiducia, e un nuovo tipo di amore Filippesi 1:1-11 Testo e Audio -  Chiesa Cristiana La Torre    
X Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3,10-18
In quel tempo, 10le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. 17Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
 
R Introduzione. In questa domenica si introduce un personaggio classico del tempo di Avvento: Giovanni Battista. In verità sarebbe già presente nel vangelo della 2a domenica di Avvento che, però, quest’anno coincide con la solennità dell’Immacolata Concezione. Viene così a mancare la prima parte del capitolo 3 di Luca (3,16) in cui sono presenti molti agganci temporali, in riferimento ai sovrani dell’epoca, e in cui viene proposto il messaggio del Battista.   R Domande degli astanti. Di fronte alla sua predicazione molte categorie di persone si sentono messe in crisi. Tutti si rivolgono a Giovanni con un interrogativo stereotipato: «Che cosa dobbiamo fare?» (3,10.12.14). Dapprima si presentano le folle (3,10–11). Cibo e vestiti sono i beni più elementari e Giovanni invita tutti, in modo generico, a fare in modo che non ci siano dei bisognosi, vincendo, in questo modo, l’egoismo. Poi si fanno avanti i pubblicani (3,12–13). A loro non viene chiesto di cambiare mestiere, ma di essere onesti. Anche per gli esattori delle tasse c’è la possibilità di essere salvati, pur continuando a svolgere il loro lavoro. Quasi a dire che il discepolo non si distingue per la sua professione ma per il suo comportamento. La stessa cosa vale anche per i soldati (3,14). Per loro era abitudine piuttosto comune razziare tutto quello che capitava, utilizzando la forza delle armi e la prepotenza. Per questo motivo erano temuti e disprezzati. Per dimostrare la loro diversa condotta convertita, non devono abbandonare la professione ma evitare la sopraffazione e la violenza. Giovanni, in definitiva, condanna l’abuso di potere della forza o della posizione sociale a causa dell’avidità di denaro. R Annuncio del Messia. Adesso è tutto il popolo di Israele (laós), inteso nel suo insieme, che esprime la sua aspettativa nei confronti di Giovanni. Prima erano citate le folle, in generale, con il sostantivo óchloi, mentre laós è solitamente utilizzato per indicare il popolo di Israele. A livello linguistico è da sottolineare la costruzione elegante della frase (3,15) con due genitivi assoluti e una dichiarativa che costituiscono una frase subordinata alla principale in cui Giovanni dà la risposta. Il detto sui due battesimi (v. 16) contrappone Giovanni e colui che è più forte sottolineando una gerarchia tra i due: colui che sta arrivando (érchetai) è interpretato messianicamente e Giovanni non osa nemmeno assumere il compito dello schiavo nei suoi confronti. Il tempo presente del battesimo di Giovanni è contrapposto al futuro del battesimo di Gesù. Quest’ultimo è sempre legato al dono dello Spirito Santo. Si trovano solo due eccezioni, nell’opera lucana, in cui lo Spirito viene concesso indipendentemente dal battesimo (At 8,15–17; 10,44), mentre i due elementi dell’acqua e dell’imposizione delle mani sono sempre legati al dono dello Spirito. Il riferimento al fuoco rimanda alla Pentecoste e, di conseguenza, alla chiesa, ma nel versetto successivo (v. 17) è anche simbolo della giustizia divina per chi non si converte. L’immagine del raccolto in 3,17 è notoriamente escatologica e le azioni dell’agricoltore descrivono la sequenza finale: distingue il grano dalla paglia e, mentre il primo è stoccato nei depositi, la paglia brucia nel fuoco eterno. Lo strumento che utilizza è propriamente un “ventilabro” che serve, cioè, a “ventilare” il grano. È una specie di pala con dei denti, con cui si inforca il mucchio indistinto del raccolto facendolo saltare sospeso nell’aria, in modo che il vento faccia volare lo scarto, mentre il grano (più pesante) ricada a terra.   R Conclusione. Il versetto 18 conclude la sezione facendo menzione all’annuncio del Vangelo (la buona novella) e contemporaneamente apre al racconto dell’arresto del Battista che, curiosamente, avviene prima del battesimo di Gesù lasciando aperto più di un interrogativo.
  Domenico Ghirlandaio: La predicazione del Battista Domenico Ghirlandaio – La predicazione del Battista Santa Maria Novella, Firenze
La lezione di Giovanni
 
       «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! […] Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura» (Sof 3,14–15). Sono parole del profeta Sofonia, citate nella prima lettura della liturgia festiva della Parola (cf. 3,14–17), che manifestano il senso dell’avvento e del Natale ormai vicino. Non è facile determinare l’epoca e l’occasione in cui furono per la prima volta pronunciati, ma è certo che si trattava di un tempo di turbamento politico e religioso. La gioia di cui parla il profeta non si alimenta di situazioni felici e di valutazioni ottimistiche. Trova il suo sostegno unicamente nella certezza che il «Signore è in mezzo a noi».        Il racconto evangelico aggiunge due serie di constatazioni (cf. Lc 3,10–18). La prima è che il Battista parla al popolo, alla folla così com’è e non a gruppi particolari e persone scelte. Non parla di sé, non descrive la propria esperienza, né la presenta come un modello: è unicamente interessato ad annunziare l’arrivo di un Altro, di fronte al quale egli non ha più nulla da dire.        La seconda è che – dal punto di vista della composizione – il discorso si apre («la scure è posta alla radice degli alberi», v. 9) e si chiude («tiene in mano la pala», v. 17) annunciando un giudizio imminente. La venuta del Messia è «lieta notizia», ma porta con sé anche un giudizio. Di qui l’interrogativo ripetuto: «Che cosa dobbiamo fare?» (vv. 10.12.14). In altre parole: come far posto nella nostra vita al Signore che viene?        Altrove nel Vangelo si legge che per prepararsi al Signore che viene e sfuggire al giudizio occorre «convertirsi», cioè cambiare rotta nel proprio modo di pensare e nel proprio modo di vivere. Ma cosa significa in concreto? Sta qui il pregio del testo evangelico: concretizza la conversione, la esemplifica, la introduce nel quotidiano e la applica alle situazioni particolari delle diverse categorie di persone.        Il Battista ha scelto per sé il deserto e una vita di rigoroso ascetismo. Si direbbe un vivente giudizio sul mondo, una svalutazione radicale di tutto ciò che ha attinenza con la sfera mondana. Tuttavia non è così. Egli fa un discorso di grande equilibrio e di quotidianità, di inserimento nel mondo e non di fuga dal mondo. Alle folle raccomanda, scendendo subito al pratico, l’amore fraterno e la condivisione. Agli esattori delle tasse di essere giusti e di non lasciarsi corrompere. Ai soldati non abusare della loro forza, di non fare prepotenze e ingiustizie. Gli esattori e i soldati erano le due professioni più odiate: gli esattori al servizio degli odiati romani e i soldati alle dipendenze degli invasori. Giovanni non dice di rinunciare al loro mestiere, dice di farlo bene. Si può servire Dio non solo nel deserto, ma anche facendo bene nel mondo il proprio mestiere.        Nonostante, dunque, la sua vocazione di asceta (o forse proprio per questo), il Battista non si rivolge a uomini dalle vocazioni particolari, né li chiama a una vita di eccezione: interpella uomini comuni, che hanno deciso di vivere nel quotidiano e nella normalità. Per tutti costoro la conversione consiste anzitutto nel fare bene il proprio lavoro. È nell’esercizio del lavoro e della professione che si giudica la serietà dell’uomo, la sua conversione e il suo cuore rinnovato. Fare bene il proprio mestiere significa, stando sempre ai suggerimenti del Battista, esercitarlo come un servizio per sé e per gli altri, e non come un’occasione da sfruttare al massimo a proprio vantaggio, esosamente. Gli esattori e i soldati si sono sentiti dire – semplicemente – di togliere dalla loro professione gli abusi, gli imbrogli e le esosità: tutto qui. Fare bene il proprio mestiere non si riduce a una questione di competenza. Anche, ma non solo. Che conta – e che è segno di conversione o meno – è l’uso di questa competenza.
Preghiera di Roberto Laurita
 
Quella domanda, Gesù, che rivolgono al Battista – «Che cosa dobbiamo fare?» – è il segno chiaro del desiderio di cambiare vita, di accogliere l’annuncio che li ha raggiunti.   Questi uomini e queste donne non si accontentano di un entusiasmo passeggero. Sono disposti a fare sul serio, a compiere scelte che li collocano in una direzione diversa.   E il profeta non esita a chiedere decisioni concrete: restituire dignità a chi è vestito di stracci, dare da mangiare a chi convive con la fame, spartire quello che si ha in più con chi manca dell’indispensabile.   La conversione non passa, dunque, attraverso gesti eroici o imprese impossibili, ma si manifesta con atteggiamenti quotidiani di rinuncia al sopruso, alla prevaricazione per favorire la legalità e una condivisione generosa.
Colletta
 
O Dio, fonte di vita e di gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché, affrettandoci sulla via dei tuoi comandamenti, portiamo a tutti gli uomini il lieto annuncio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Amen.