Dal libro della Gènesi |
Gen 3,9–15 |
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] 9il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». 14Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». |
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La prima lettura si concentra sul racconto dell’intervento di Dio dopo la caduta di Adamo ed Eva in Gen 3. La buona notizia è dunque evidente sin dalle prime battute: Dio non abbandona il peccatore, ma lo continua a chiamare («Dove sei?», 3,9). Il Signore sa benissimo dove si trova Adamo, ma lo cerca perché questi capisca fino a che punto è arrivato dopo la caduta. Martin Buber, filosofo ebreo del XIX secolo, direbbe che proprio quando Adamo riconosce di aver interrotto la relazione con Dio («mi sono nascosto», v. 10), comincia il Cammino dell’uomo (intitola così un suo libro dove si dedica un capitolo proprio a questo passo). La trasgressione ha infatti generato una profonda paura di Dio e il Signore è ormai percepito come una minaccia. Dopo questo primo scambio, Dio continua a rivolgere delle domande all’uomo: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero…?» (3,11). Il Signore accusa Adamo di peccato attraverso la forma interrogativa, per stimolare la sua riflessione e convincerlo del suo comportamento errato. I due progenitori, tuttavia, non accolgono la correzione, rifiutano di cominciare il cammino di ritorno e scaricano le responsabilità: è colpa della donna, è colpa di Dio («La donna che tu mi hai posto accanto…», v. 12), è colpa del serpente («Il serpente mi ha ingannata…», v. 13). La lettura termina quindi con la maledizione del serpente, una sentenza («Maledetto tu fra tutto il bestiame», v. 14) che si apre all’annuncio di un’altra importante buona notizia: «Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (v. 15). Il brano prefigura la venuta di Gesù Cristo, «nato da donna» (Gal 4,4), e la sconfitta del serpente; la traduzione latina della Vulgata usa un pronome femminile («questa ti schiaccerà») e lega la vittoria sull’animale all’opera della Vergine Maria. L’assemblea, quindi, è chiamata a identificare la forza che oscura il cuore di ogni uomo, riconoscendo la tentazione diabolica e accogliendo l’annuncio del Messia futuro. |
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi |
2Cor 4,13–5,1 |
Fratelli, 13animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, 14convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. 15Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio. 16Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: 18noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. 5 1Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. |
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La missione di Paolo è stata accompagnata da molte prove e sofferenze (2 Cor 4,812) e le parole con cui comincia la seconda lettura si comprendono proprio alla luce di questo contesto: «Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto, Ho creduto perciò ho parlato (Sal 116,10), anche noi crediamo e perciò parliamo» (v. 13). La franca proclamazione del vangelo, che non si ferma neanche di fronte alle difficoltà, non può che essere frutto della fede. E questo vale per ogni cristiano: quando le prove scoraggiano, quando «in noi agisce la morte» (v. 12), è la fede a donare luce. Perché chi ha avuto un incontro con Gesù Cristo vivo e risorto, sa che il Padre può donare un’energia più forte della morte anche nelle circostanze più difficili («colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi», v. 14). Per questo Paolo può proclamare che «tutto… è per voi» (v. 15), sicuro che anche le esperienze più dure possono andare a vantaggio della persona. Paolo, dunque, non si scoraggia: mentre le sofferenze fanno sì che il suo uomo esteriore si vada «disfacendo» (v. 16; il verbo diaftheírō, è usato in Lc 12,33 per la consumazione provocata dalla tignola), la fede produce invece una crescita dell’uomo interiore, una «novità» (in greco si usa il verbo anakainóō, da kainós, «nuovo») che si ripete ogni giorno; anzi, quando il corpo sarà definitivamente disfatto, dopo la morte, ogni cristiano avrà una dimora stabile in cielo (2 Cor5,1). La partecipazione all’eucaristia intende quindi rafforzare la fede dell’assemblea liturgica perché essa possa comprendere che le difficoltà, vissute in Dio, possono procurare un rinnovamento dell’uomo interiore. La sofferenza, vissuta con fede, diviene leggera («il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione», v. 17) ed è addirittura motivo di gloria («ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria», v. 17). Questa consapevolezza è possibile solo quando gli occhi del credente non si soffermano solo sulle realtà visibili, ma riescono a contemplare il Dio invisibile ed eterno (v. 18). |
X Dal Vangelo secondo Marco |
Mc 3,20–35 |
In quel tempo, Gesù 20Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. 21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». 22Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». 23Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? 24Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; 25se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. 26Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. 27Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. 28In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; 29ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». 30Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro». 31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. 32Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». 33Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 34Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 35Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». |
R La folla. Il vangelo comincia con il riferimento a uno scenario abituale in Marco, la casa. Gesù entra in un’abitazione privata e si raduna di nuovo molta folla attorno a lui, così tanta che, assieme ai discepoli, non hanno tempo neanche di mangiare. Tuttavia, c’è una differenza rispetto ai primi capitoli di Marco: se il successo di Gesù è crescente (3,7–8), ora vi sono le prime avvisaglie del drammatico rifiuto che lo porterà sino alla passione. I suoi parenti, infatti, «escono» (in greco exérchomai) per andare a prenderlo, e lo considerano «fuori di sé» (si usa sempre il greco exérchomai); il gioco di parole crea un effetto ironico: mentre i parenti pensano che Gesù sia diventato pazzo, in realtà sono loro ad “essere fuori”. Inoltre, il verbo impiegato per descrivere la loro azione («uscirono per andare a prenderlo») è piuttosto energico (in greco kratéō, «afferrare»), indica come minimo una certa insistenza e può implicare anche l’uso della forza (Mc 6,17; usato nel racconto della Passione 14,1.44.46); il versetto quindi traduce la tendenza a voler stringere l’opera divina nelle maglie di ciò che è ragionevole e sensato, senza riconoscere che «la parola di Dio non è incatenata» (2 Tm 2,9). R Un regno diviso? Gli scribi non si limitano al rifiuto, ma formulano un’accusa molto grave contro Gesù (v. 22): a loro parere sarebbe colpevole di stregoneria e di attività diabolica, un crimine che si puniva anche con la morte (Es 22,17; Lv 20,6.27; Dt 18,10–11). Gesù reagisce a queste accuse con grande misericordia. In primo luogo formula una domanda: «Come può Satana scacciare Satana?» (v. 23) e usa il genere della parabola («Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro», v. 23). Il discorso è quindi costruito in base a una fine arte retorica e ha lo scopo di interpellare gli accusatori perché essi comprendano la menzogna che si nasconde dietro le loro parole (come fa Dio in Gen 3). Gesù non risponde con risentimento, ma di fronte al rifiuto degli scribi, cerca di convincerli e di portarli alla vera sapienza. Le due immagini usate da Gesù sono quelle del regno e della famiglia, il significato è simile: un regno diviso in se stesso non può reggere (v. 24), così come una famiglia in cui ci siano liti e fratture è destinata a rompersi (v. 25); per questo pensare che Gesù scacci Satana in nome di Satana è anzitutto irragionevole (v. 26). R L’uomo forte e il più forte. Il discorso di indole parabolico descrive Satana come un uomo forte, che possiede molti beni, custoditi al sicuro nella sua casa (v. 27). Il termine impiegato per indicare i «beni» del diavolo è skeúos, che significa in senso proprio «contenitore», ma che per estensione si può riferire anche al «corpo umano», come si vede in At 9,15 e in 2 Cor 4,7 in cui l’uomo è definito «vaso d’argilla». Quindi, non si può escludere che i “beni” del maligno siano proprio le persone soggiogate dalle sue tentazioni. Il versetto, tuttavia, annuncia per contrasto che Gesù è più forte (cf. Mc 1,7) del diavolo, può strappare le anime alla sua presa (cf. Is 24,21–22; 49,25; 53,12); il Figlio, infatti, è capace di «legarlo» e di neutralizzarlo, come si vedrà più avanti nel Vangelo di Marco, quando Gesù guarirà l’indemoniato che nessuno poteva legare (in Mc 5,34 si usa lo stesso verbo déō, «legare»). La forza straordinaria del Messia viene ribadita nell’acclamazione al vangelo: «Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv 12,31). R La bestemmia contro lo Spirito Santo. Dopo le parabole, Gesù introduce un’affermazione fondamentale attraverso la formula: «In verità, in verità» (v. 28). In primo luogo, si annuncia il perdono universale («tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno», v. 28), non c’è peccato che possa impedire a Dio di perdonare e così di rinnovare la persona. D’altra parte, solo la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere perdonata (v. 29). Il contesto rivela che questa forma di blasfemia si identifica certamente con il comportamento degli scribi: «perché dicevano: “È posseduto da uno spirito impuro”» (v. 30). L’assemblea, quindi, è chiamata a riconoscere che esiste un solo peccato non perdonabile, quello di chi confonde l’opera divina con quella del maligno. Il Catechismo aiuta ad applicare questo passo a circostanze più concrete: «La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono… e la salvezza. Un tale indurimento può portare all’impenitenza finale» (Catechismo Chiesa Cattolica 1864). R La madre e i fratelli. Il v. 31 riprende il filo del discorso interrotto al v. 21. La madre e i parenti di Gesù lo raggiungono, ma rimangono fuori; la precisa collocazione nello spazio rivela un atteggiamento di sfiducia e di estraneità. Di fronte alla domanda dei presenti («…stanno fuori e ti cercano», v. 32), Gesù risponde con una domanda – «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (v. 33) – e guardando le persone presenti afferma: «Chi fa la volontà di Dio costui per me è fratello, sorella e madre» (v. 35). I versetti creano un contrasto tra coloro che rimangono «fuori» (vv. 3132) e chi è «attorno a lui» (perí autón, v. 32 e v. 34), tra i parenti critici e i discepoli vicini. Seguire Gesù significa entrare a far parte di una famiglia i cui legami sono molto più forti di quelli di carne. In questo modo, Gesù esalta anzitutto la maternità della Vergine Maria, fondata sull’obbedienza alla parola e non sulla carne (Lc 1,26–38). Poi esprime un riconoscimento della scelta compiuta dai discepoli: lasciando tutto per obbedire alla sua volontà (cf. Mc 1,16–20) essi hanno formato la “nuova famiglia” di Gesù, in virtù dell’ascolto della sua Parola. |
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Il più forte vince il male |
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L’episodio narrato dalla prima lettura (cf. Gen 3,9–15) si inserisce nel più ampio contesto del secondo e del terzo capitolo del libro della Genesi. Sono pagine in cui Israele si interroga sul problema del bene e del male. Da una parte si fa esperienza (si pensi alla liberazione dall’Egitto) dell’amore salvifico di Dio, della sua incessante preoccupazione per il popolo; dall’altra si sperimenta a ogni passo la sofferenza, il male e il peccato. Come conciliare queste due esperienze? Di fronte alle molteplici forme di contraddizione presenti nella storia non bisogna incolpare Dio – come emerge dalla lettura di questi capitoli – la colpa è dell’uomo. Il male non ha un’origine non teologica ma storica, nella libertà: arbitro è l’uomo. Il passo riporta il drammatico seguito del peccato della coppia umana che viene sottoposta da Dio a un serrato interrogatorio svelando il maldestro tentativo dell’uomo e della donna di sottrarsi alla loro responsabilità. In successione, infatti, l’uomo incolpa la donna che a sua volta accusa il serpente. Al serpente, però, Dio non chiede spiegazioni, formula solo il giudizio a suo danno, ed è l’unico a essere maledetto: né l’uomo, né la donna sono maledetti per il peccato, il serpente sì. Il creatore qui afferma che tra il seme del serpente, vale a dire i suoi discendenti, e il seme della donna, ovvero sia l’umanità, resterà permanente una lotta serrata e continua, un’ostilità gravissima e irreparabile. «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (v. 15). Viene così rappresentata la battaglia eterna fra l’uomo e il male, l’ininterrotto conflitto che l’uomo ingaggerà con il male. E questa è la realtà: l’autore conosce bene la sua condizione dove l’uomo lotta con una situazione negativa che è fuori di sé, ma che è anche dentro, nella sua interiorità; lotta con gli istinti che lo portano a commettere il male; l’uomo che vuole vivere bene si trova a combattere per vivere bene. Questo desiderio di vivere bene e di combattere il male è messo da Dio all’inizio. Non solo viene annunciata una lotta continua fra i due schieramenti, viene promessa anche una vittoria, il superamento del male da parte dell’umanità. Questa «predizione» della pagina di Genesi si specchia nell’episodio evangelico (cf. Mc 3,20–35), là dove Gesù deve affrontare dapprima il severo giudizio del suo gruppo familiare che lo considera pazzo, poi quello degli scribi che lo accusano di essere indemoniato. Nel dibattito con gli scribi Gesù fa la teoria, o se si preferisce, la teologia dei suoi esorcismi, e ne esplicita il significato messianico. Gesù che spesso non si impegna nelle discussioni, qui lo fa, è in gioco l’intero significato della sua venuta, e non può permettere che i segni di Dio siano distorti e utilizzati alla rovescia. Poiché non possono negare le sue azioni, ai suoi avversari non resta che squalificare la sua persona e la sua opera. I suoi esorcismi, essi sostengono, sono operazioni di magia destinate a sedurre le folle: «Scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni» (v. 22). Di più, è egli stesso posseduto dal demonio (cf. v. 22), una sorta di inversione demoniaca dell’inviato escatologico di Dio. Come rappresentante di Satana Gesù è la persona più impura e non c’è da meravigliarsi se bestemmia (cf. Mc 2,7) e se cerca la compagnia dei pubblicani e peccatori impuri (cf. Mc 2,15-16). Di fronte alla spiegazione data dagli specialisti del diritto religioso (gli scribi), le folle si interrogano esitanti. Gesù ribatte, ricorrendo al buon senso (Satana non può essere contro Satana, cf. v. 23) e dando della sua prassi di liberazione la spiegazione più ovvia: è arrivato il «più forte» (il Messia, cf. Mc 1,7) che vince il «forte» (Satana). Tutti sapevano che il regno di Satana sarebbe finito quando l’aurora dei tempi escatologici sarebbe spuntata. Ebbene, dice Gesù, questi tempi sono giunti. Con una breve parabola («Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa», v. 27), l’evangelista mostra che Gesù considera Satana come il suo personale contrapposto, come l’oppositore escatologico che bisogna assolutamente vincere per condurre gli uomini a Dio. I suoi esorcismi sono il segno di questa vittoria: non una semplice guarigione di sintomi, ma la volontà di rimuovere il male alla radice. Non sconfitte parziali, ma il segno di una sconfitta totale che è già iniziata. Marco tuttavia, non si accontenta di riportare il ragionamento degli scribi, lo giudica e ne evidenzia tutta la gravità, riportando un detto di Gesù sul «peccato contro lo Spirito», un peccato tanto grave da essere imperdonabile. È il peccato di chi non semplicemente rifiuta la manifestazione di Dio, ma la rifiuta lucidamente e consapevolmente, al punto da stravolgere abilmente i segni di Dio contro Dio stesso: come è appunto il caso della lettura della prassi di Gesù fatta dagli scribi. Il rifiuto totale di Gesù da parte degli scribi è inquadrato in un’ampia serie di differenti rapporti con Gesù e si presenta sicuramente come il più negativo. Viceversa, nella reazione conclusiva alla visita dei parenti Gesù evidenzia il criterio decisivo per la comunione con lui: «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (v. 35). |