Sequenza allo Spirito Santo   Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.   Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.   Consolatore perfetto; ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo.   Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto.         O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. VIENI SANTO VIENI SANTO SPIRITO NI SANTO SPIRITO 
Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.   Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.   Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.   Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano, i tuoi santi doni.   Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.   Amen.
Mappa Nazioni a Gerusalemme a Pentecoste - Popoli di Atti 2  
Dagli Atti degli Apostoli
At 2,1-11
1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
 
R La nuova Pentecoste. Il brano si apre con un’espressione un po’ strana: Luca avrebbe potuto semplicemente scrivere «nel giorno di Pentecoste» e invece la formula usata richiama il tema del compimento. La festa di Pentecoste era una delle tre feste di pellegrinaggio verso Gerusalemme: oltre alla Pasqua, secondo Es 23, si festeggiava il raccolto del primo grano, mentre a settembre con la festa delle Capanne si ringraziava Dio per la raccolta della frutta. In realtà però, il legame tra Pasqua e Pentecoste (che si celebra cinquanta giorni dopo la prima festa) ricorda il libro di Esodo dove alla liberazione dall’Egitto era seguito il dono della Legge sul monte Sinai. Le immagini del fragore, del vento impetuoso e del fuoco fanno pensare che in questa scena Dio stia proponendo un nuovo Sinai, una nuova alleanza a compimento della nuova Pasqua vissuta in Gesù (che ci ha liberati non dagli Egiziani ma dalla morte). Per questo i cristiani hanno riletto la festa in maniera nuova, vedendovi il dono dello Spirito, reinterpretando così l’antica liturgia di pellegrinaggio verso Gerusalemme come una festa che da questa città porta a rivolgersi al mondo. Non a caso, in questa città già il mondo era presente.   R Ritrovo a Gerusalemme. Il testo fa riferimento ai Giudei che erano stati in diaspora ma che dimoravano stabilmente a Gerusalemme: probabilmente, era prassi che molti giudei volessero, alla fine della loro vita, tornare in Palestina per morire nella terra dei propri Padri, anche per attendere la venuta del Messia e del giudizio che si sarebbe dovuto compiere a partire dalla città santa. Con la manifestazione dello Spirito Santo, i cristiani scoprono che Dio nella elezione di Israele e della cittadella di Sion non aveva pensato di escludere il mondo: anzi, attraverso questa elezione, il mondo era chiamato a riunirsi. Queste profezie erano già presenti in Is 2 e in vari passi dell’Antico Testamento e Luca, genialmente, le riprende per realizzarle, ma in maniera capovolta: ora questa gente scopre che le meraviglie di Dio possono essere raccontate in tutte le lingue del mondo. Questo è chiaramente il compito nuovo (ma allo stesso tempo antico) che lo Spirito propone alla chiesa.   R Apertura al mondo. Il fatto che le lingue si dividano dice che all’origine c’è un unico linguaggio che viene da Dio: ma questo Padre vuole raggiungere tutti i suoi figli e allora dona la capacità di comunicare con tutti. Si discute se qui si sia di fronte al dono della glossolalia di cui parla Paolo (1 Cor 12,30; 13,1; 14,2): in realtà, lo scopo del brano è che tutti comprendano nella loro lingua natia, mentre la glossolalia si riferiva piuttosto alle lingue degli angeli che solo alcuni potevano interpretare. Luca vuole proporre il modello missionario: più che un evento estatico, di breve durata, qui si parla di un intervento dello Spirito che poi lascia questa capacità di comunicare, perché da qui si inizi un’esperienza di chiesa più aperta, che ha come orizzonte il mondo intero. La lista dei popoli infatti vuole dare un’idea di quanto grande sia il compito missionario: nell’elenco troviamo perfino i Romani, che avrebbero dovuto essere invece odiati in quanto violenti invasori. E non mancano i Giudei, che quindi non vengono affatto ripudiati. Gli ultimi due riferimenti della lista (Cretesi e Arabi) richiamano di nuovo la totale universalità della missione. Bisogna portare l’annuncio fino alle isole (che per gli ebrei era quanto di più lontano potesse esistere) e persino nel deserto arabico, indicando di voler dunque raggiungere anche i luoghi più impervi! Nulla in pratica deve fermare l’annuncio cristiano, rivolto davvero al mondo intero.
  Le opere della carne ed i frutti dello Spirito – ROGATE ERGO  
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Gal 5,16-25
Fratelli, 16camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. 18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c’è Legge. 24Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
 
R Desiderio e opere della carne. Il brano paolino ci presenta una chiara contrapposizione tra Spirito e carne. Per prima cosa bisogna provare a chiarire che cosa intendesse Paolo con quest’ultimo termine. È da evitare una banalizzazione di Paolo che riduca la questione solo ad un dualismo corpoanima. I termini del problema infatti sono più complessi! Un’osservanza precisa e pia della Legge (che qualcuno di noi potrebbe ritenere un’opera spirituale) potrebbe essere, nella prospettiva paolina, un’opera completamente carnale se compiuta per orgoglio personale e non per Dio ma per compiacere agli uomini. Dunque, il tema della carne non si configura in base all’oggetto della questione ma in base all’intenzione con cui si affrontano le varie situazioni della vita. In questa lettera Paolo polemizza con i Galati perché rischiano di tornare a una pratica legalistica delle fede (Gal 5,7). Nei versetti precedenti al nostro brano, Paolo contesta chi vuole affidare la propria salvezza a una pratica come la circoncisione piuttosto che alla fede in Cristo. La preoccupazione di Paolo è che a qualcuno dei Galati non basti più lo scandalo della croce, come se occorresse qualcosa di più efficace e soprattutto di visibile, concreto, dimostrabile, da presentare agli altri. È questa la tentazione della Legge, che non è negativa in se stessa ma lo diventa se colta con questo spirito carnale, come un poter/voler dimostrare qualcosa. Cosa c’era di più visibile e concreto della circoncisione per apparire agli altri come dei veri convertiti? Ma Paolo ricorda che la circoncisione o la non circoncisione non contano nulla. Anzi, il voler imporre la circoncisione è una pretesa di alcuni che si vogliono mostrare più meritevoli o migliori: Paolo li condanna assai severamente (Gal 5,12). Il tema della carne dunque non riguarda solo la sfera concreta, quella corporea, ma vuole toccare il tema più generale del desiderio.   R La carne del desiderio, il dono dello Spirito. Per confermare questo dato, basta notare la ricorrenza del termine carne (sárx) in questo brano. Capiamo dunque che il tema della carne rientra nel discorso universale del “ben desiderare”. Tutto ciò non chiede un puro annullamento del desiderio: sarebbe questa un’interpretazione assurda per una cultura come quella biblica per la quale l’umano è fondamentalmente desiderio. Occorre invece imparare a scegliere tra bene e male come i profeti hanno sempre insegnato in tutto l’Antico Testamento. Si tratta di imparare a desiderare il bene con tutto il proprio cuore senza lasciare che altre intenzioni intervengano traviandolo. Il dono dello Spirito viene dunque a realizzare questa perfetta consonanza tra l’agire dell’uomo e il bene voluto da Dio che è il vero compimento della libertà umana. La carne è invece l’atteggiamento egoistico che riporta l’uomo a vivere solo per se stesso e contro Dio, mentre in Gesù abbiamo imparato che l’uomo può vivere tutto e solo per amore. Per questo Paolo ci dice che Dio in Gesù ci ha liberato dalla legge: non per lasciarci nell’anarchia ma perché potessimo ancora adempierla ma stavolta solo per grazia, senza la pretesa, umana, solo umana, troppo umana, di farla diventare uno strumento per la nostra gloria. Per fare questo occorre lo Spirito!
  Pentecoste - Diocesi di Ragusa   Omelia per la Pentecoste (anno B)
X Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,26-27; 16,12-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
 
R Un inizio consolatorio. I discorsi d’addio (Gv 13–17) hanno soprattutto uno scopo consolatorio: vogliono essere l’ultima istruzione di Gesù per i suoi discepoli, un segno di cura particolare prima della sua dipartita. Non a caso, Gv 14 inizia dicendo: «Non sia turbato il vostro cuore». Si tratta di un brano che vuole rileggere in modo nuovo e diverso il racconto sinottico del Getsemani, dove invece era palese il turbamento di Gesù. Nella prospettiva giovannea, il Figlio di Dio è sempre aulico, ha una piena conoscenza del Padre e perfino nel momento più duro non ha paura: la croce è la gloria di Dio, la piena manifestazione del suo amore, dunque non c’è da temere. Questo discorso più introduttivo ci fa capire che il brano di questa domenica di Pentecoste vuole rassicurare i discepoli: la morte di Gesù può sembrare una sconfitta ma non è così, anzi, è una vittoria. La partenza di Gesù può essere perfino definita un bene. Dio è invincibile, questa è la base della fede biblica: e se all’apparenza è sconfitto, è solo perché la sua manifestazione risplenda maggiormente. Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli che la morte non vince, che l’amore è più forte del tradimento e del peccato. La croce è dunque il grande evento che tutta la storia attendeva ed è grazie ad essa che il dono dello Spirito scende su tutti.   R Chi è lo Spirito? Lo Spirito è il grande dono atteso: diversamente dalle altre figure della Trinità (il Padre e il Figlio) esso è tutto rivolto verso di noi. Il Padre ha la sua consistenza e il suo valore assoluto; il figlio Gesù è la seconda persona della Trinità ma è anche per sempre l’uomo che ha vissuto quella vicenda storica precisa di più di duemila anni fa; è nello Spirito che Dio raggiunge invece ciascuno di noi. Se parliamo di un Dio Padre e di Gesù lo possiamo fare solo nello Spirito! È solo grazie allo Spirito che possiamo riconoscere che in Gesù è avvenuto qualcosa: quella morte, non è come tutte le altre morti. Quella morte è stato il compimento di una vita d’amore e non solo: in lui si sono compiute tutte le promesse dell’Antico Testamento. Per questo il vangelo di questa domenica ci può dire che lo Spirito ci porterà alla verità tutta intera.   R Il processo di Gesù. Per il Quarto vangelo, tutta la vicenda di Gesù è stata un grande processo: egli infatti è perseguitato fin dall’inizio e nello scontro con i Giudei, che caratterizza tutto il racconto giovanneo, intuiamo che Gesù deve difendersi dall’accusa di essere un indemoniato, un ingannatore, un samaritano (Gv 8,48), un blasfemo che si fa uguale a Dio e che vìola il sabato per puro divertimento (Gv 5,18). In realtà, nel tentativo di fare il processo a Gesù, tutto si capovolge. È Gesù che fa il processo al mondo, mostrando come l’umanità cerchi la propria gloria e non quella di Dio e per questo rimanga invischiata in logiche perverse, in cui ciascuno pretende di essere più giusto degli altri e pensa così di imporre la verità. La prospettiva giovannea, insieme a quella paolina, condivide la visione severa ma reale dell’apocalittica per la quale difficilmente le opere e le azioni umane possono essere usate per un giudizio di salvezza. La storia umana, nel suo complesso, dimostra ampiamente l’attrazione che il male esercita sull’uomo: anche la vicenda di Gesù mostra come l’odio immotivato, senza ragione, ha apparentemente avuto ragione dell’amore e della dedizione del Figlio. Grazie allo Spirito, però, possiamo cogliere che dietro la vicenda di Gesù esiste davvero un giudizio, operato non dall’umanità ma da Dio. Nella vicenda di Gesù vediamo che il re dei Giudei viene vestito di porpora, incoronato di spine e fatto sedere in tribunale per essere deriso: la realtà però è che davvero lui è il re, perché invece di invocare la vendetta e compiere il giudizio alla maniera umana si è consegnato per dimostrare che l’amore è più forte dell’odio. Questa è la verità della storia: se Dio avesse dovuto davvero compiere un giudizio, la vicenda umana non sarebbe neppure cominciata. Invece, la storia ha un senso: che l’umanità scopra, in mezzo a tante vicende di sofferenza, l’amore di Dio e del suo Figlio.   R Lo Spirito e Gesù. Lo Spirito dunque non parla di sé; egli non fa che ricordarci la vicenda di Gesù Cristo, disvelando quelle verità che invece, quando lui era in terra, non furono colte. E non potevano essere veramente capite: solo a partire dalla croce infatti tali verità diventano chiare perché realmente Dio ha dato tutto se stesso per noi. Per questo Gesù nel vangelo ci dice che di molte cose ancora non possiamo portare il peso: solo dopo che avremo visto il suo coraggio, la sua determinazione e avremo ricevuto il suo Spirito potremo provare a entrare in quella logica della croce che è un mistero d’amore. Lo Spirito ci aiuta a fare memoria di Gesù: lo Spirito non ha altro materiale su cui lavorare, non ha nuove verità da aggiungere, ma ci permetterà di entrare sempre di più nella vicenda del Figlio facendoci cogliere davvero che in lui si è manifestata la gloria di Dio.
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Pentecoste: lo Spirito rinnova la chiesa
 
     Nella festa di Pentecoste la comunità cristiana ricorda, ringrazia e gioisce per il dono dello Spirito. Già l’Antico Testamento sentiva lo spirito di Dio come una presenza attiva e operante, ma nel contempo avvertiva che solo nei tempi messianici lo Spirito sarebbe stato donato in pienezza, stabilmente e a tutti. Si attendeva per l’epoca messianica un’effusione dello Spirito non più riservata a pochi privilegiati, ma generale, come la pioggia che dà vita al deserto. In concreto, l’Antico Testamento attendeva, come frutto e segno dello Spirito, una comunità finalmente viva, un mondo nuovo, una vera giustizia fra gli uomini.      Nel racconto della Pentecoste, Luca (At 2, 1-11) ci fa anzitutto comprendere che si tratta di un compimento. «Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste»: così inizia l’episodio. Il verbo («compiersi») — che suona un po’ strano — allude al compimento di antiche promesse. Nasce la nuova comunità attesa dai profeti per il tempo finale. Inoltre Luca imprime a tutta la scena un significato programmatico, come il battesimo di Gesù al Giordano (cf. Lc 3,21-22) e il discorso nella sinagoga di Nazaret, che ne è il naturale prolungamento (cf. Lc 4,14-30).      I cristiani di tutti i tempi devono guardare a questi avvenimenti se vogliono scorgere con nitidezza i tratti fondamentali della loro fisionomia. Battesimo e Pentecoste sono due scene che inaugurano un’attività pubblica, quella di Gesù e quella dei discepoli. Ambedue i racconti sono ricchi di riferimenti anticotestamentari e vogliono dire che sta iniziando qualcosa di nuovo, incomincia finalmente ciò che a lungo abbiamo atteso. In entrambi il protagonista è lo Spirito Santo, il quale è dato per una missione ed entrambi hanno una prospettiva di universalità. E, ancora, in tutte e due le scene assistiamo a un rifiuto: Gesù, che predica a Nazaret, è rifiutato perché non compie al suo paese i miracoli che invece compie altrove; i discepoli, che predicano a Gerusalemme, sono derisi perché ritenuti ubriachi.      Luca descrive la venuta dello Spirito utilizzando i simboli classici che accompagnano l’azione di Dio — il vento, il terremoto e il fuoco — ma qui c’è un simbolo in più: le lingue che si dividono e si posano su ciascuno dei presenti. Già la tradizione giudaica suggeriva che sul Sinai la voce di Dio si divise in più lingue, precisamente in settanta lingue, perché tutte le nazioni potessero comprendere. Luca utilizza questo simbolo per sottolineare il compito di unità e di universalità a cui la chiesa è chiamata. L’universalità e l’ecumenismo sono i primi segni della presenza dello Spirito di Dio. L’universalità è poi evidenziata anche da un altro tratto: accorrono uomini «di ogni nazione che è sotto il cielo» (v. 5). Si tratta di una universalità con caratteristiche precise. «Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6), annota Luca ripetutamente. Gli uomini non abbandonano le loro lingue, né le loro tradizioni: l’unità dello Spirito è più profonda, e non costringe l’uomo ad abbandonare il mondo in cui è cresciuto. Esige che l’uomo abbandoni il suo egoismo, le sue idolatrie e il peccato, e nient’altro. Non si tratta di un’unità frutto di imposizione autoritaria, bensì di un’unità dono dello Spirito, cioè nell’amore, nella libertà e nel consenso, nel rispetto reciproco e nell’accettazione gioiosa delle giuste differenze. L’unità è uno dei grandi simboli della salvezza: gli uomini dispersi, perennemente divisi l’uno contro l’altro, sognano di riunirsi in una grande famiglia che sopprima finalmente tutte le barriere e le contrapposizioni. Ci sono due strade per tentare questa riunione: la strada impaziente di tutti i sogni egemonici, da quello degli antichi imperi assiro-babilonesi a quello degli imperialismi moderni: radunare con la forza tutti i popoli sotto una sola autorità e costringerli dentro un’unica ideologia. È il tentativo di Babele, un tentativo idolatra, destinato fatalmente a fallire e a generare sempre maggiori contrasti e divisioni. Oppure la strada dello Spirito che raduna gli uomini — affratellandoli — nel riconoscimento di Dio, nella libertà e nell’amore. E una fraternità che nasce dalle coscienze. Lo Spirito chiama i cristiani a svolgere nel mondo questo compito fondamentale.      Il Vangelo (cf. Gv 15,26-27; 16, 12-15) riconosce altri importanti compiti assegnati alla presenza dello Spirito nella comunità. Anzitutto attualizzare l’evento storico di Gesù, accaduto in un determinato tempo e luogo, rendendolo disponibile per ogni tempo e per ogni luogo. Lo Spirito è il protagonista che mantiene aperta la storia di Gesù rendendola perennemente attuale e salvifica. Senza lo Spirito, la storia di Gesù — compresa la sua risurrezione — sarebbe rimasta una storia chiusa nel passato, non un evento perennemente contemporaneo. Lo Spirito è la continuità fra il tempo di Gesù e il tempo della chiesa. Certamente ci sono anche altri fattori di continuità: le Scritture, il ricordo delle parole di Gesù, gli apostoli. Tuttavia il vero fattore della continuità è lo Spirito.      Un altro compito dello Spirito, sul quale il Vangelo insiste particolarmente, è di trasformare il discepolo in testimone: «Lo Spirito della verità […] egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio» (15,26-27). Nel grande processo tra Cristo e il mondo che si svolge entro tutta la storia, lo Spirito depone in favore di Gesù. Non si tratta di una testimonianza direttamente rivolta al mondo, ma rivolta al mondo attraverso il discepolo. Lo Spirito testimonia nel cuore del discepolo. Davanti alle ostilità che incontreranno i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo e allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri nella loro disobbedienza al mondo. I discepoli avranno bisogno di certezza: lo Spirito gliela offrirà.      Infine, un ultimo compito dello Spirito è di suscitare un incontro personale, intimo, pieno, con il Signore e la sua verità: «Lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità» (16, 13). L’insegnamento dello Spirito è anzitutto memoria: lo Spirito ripete le parole di Gesù. Non aggiunge a esso altre sue personali verità. E tuttavia il suo insegnamento non è ripetitivo, non è semplice ricordo. Non aggiunge nulla alla rivelazione di Gesù, però la interiorizza e la rende presente in tutta la sua pienezza. E come abbiamo già visto la attualizza. Il Vangelo dice: «Vi guiderà verso e dentro la pienezza della verità». Dunque una conoscenza interiore, viva e attuale, e progressiva. Non un crescente accumulo di conoscenze, ma piuttosto un graduale viaggio verso il centro: dall’esterno all’interno, dalla periferia al centro, da una conoscenza per sentito dire, a una comprensione personale, attuale e trasformante.
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Tre mani si intrecciano per formare una colomba. A destra la mano del Padre che dona, a sinistra il dorso della mano di Cristo con il segno del chiodo che è anche l’occhio della colomba, in basso la mano dello Spirito che indica e guida alla verità.
Preghiera di Roberto Laurita
 
Vieni, Spirito Santo, come un vento impetuoso e spazza via tante cose inutili: sgombera le nostre comunità da tanta zavorra che impedisce loro di camminare sciolte e leggere sulle vie del Vangelo.   Libera le nostre liturgie da linguaggi desueti, sconosciuti ai più, che non parlano più al cuore della gente e ingessano il popolo di Dio in una ripetizione di vocaboli arcani.   Donaci di riscoprire la lingua universale dell’amore e della fraternità, della giustizia e della pace e di compiere i gesti che Gesù ci ha affidato con la nobile semplicità che li caratterizza.   Vieni, Spirito Santo, rendi ardenti i nostri cuori, donaci una determinazione lucida e coraggiosa nel rimanere fedeli all’esempio di Gesù e di tradurre la sua Parola in scelte concrete di condivisione.  
Colletta
 
O Dio, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e rinnova anche oggi nel cuore dei credenti i prodigi che nella tua bontà hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Amen.